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domenica 1 novembre 2015

I solchi sperimentali di Antonello Cresti (Correggio, 30 ottobre 2015), commento e reportage fotografico di Francesco Pullè


La biblioteca Einaudi di Correggio, ospitata in uno splendido palazzo rinascimentale, è stata teatro di uno stimolante incontro col critico musicale, saggista e musicologo fiorentino Antonello Cresti incentrato su due titoli della sua eclettica bibliografia: Solchi sperimentali, uscito lo scorso anno, ed il recentissimo Solchi sperimentali Italia, entrambi pubblicati da Crac Edizioni.
Si tratta di indagini su musiche “altre”, dedicate a chi vuole battere percorsi meno convenzionali, antologie dell’avanguardia più illuminata dove si dissezionano e disaminano materiali eterogenei: sofisticate sperimentazioni di fior di musicisti e fieri non-musicisti contemporanei, suggestive installazioni multidimensionali di scultori del pentagramma, furibondi assalti cacofonici di provocatori e rumoristi, eccentriche bagatelle di effimeri antieroi ai margini dello show-biz, eteree meditazioni di viaggiatori cosmici, ma anche opere più diffuse di personaggi di culto underground nonché di qualche volto noto al grande pubblico, tutti però accomunati dalla “volontà di spingere i limiti dell’espressione il più lontano possibile, magari abbattendoli del tutto”.
Ecco allora delinearsi un itinerario di ascolti spericolati che, pur passando tra solchi ormai classici a firma Battiato, Area, Banco o Rocchi, si spinge verso nomi meno conosciuti (Between, Messina e Lovisoni, Siver Apples o Glenn Branca) o del tutto sconosciuti ai più (Don Bradshaw, N.A.D.M.A., Nick Carter o Yatha Sidhra).
Ma continuare sciorinando elenchi sarebbe davvero inconcludente, vista l’abbondanza degli autori proposti.


E poi ci sono gli straordinari titoli in cui le trattazioni vengono articolate, sintesi fantastiche ed immaginifiche della varietà e ricchezza dei materiali trattati. Qualche esempio: Mitteleuropa a Stelle e Strisce, Nova Musicha Akusmatika, Yoga Druidico e Tutti i colori dell’oscurità. Davvero efficaci.
L’ultimo volume divulgato, quello dedicato alla scena nazionale e munito di intonarumori futurista in omaggio ai discendenti di Russolo sulla copertina, è inoltre arricchito da un cospicuo apparato di interviste, mi pare siano oltre 150, ai protagonisti di questi microsolchi e microcosmi tanto affascinanti quanto raramente studiati e ancor meno sistematizzati come in questi brillanti saggi.
Cresti, nel corso della serata, ha piacevolmente illustrato molti dettagli del suo viaggio nella musica di ricerca, questa la sua definizione preferita, che ha volutamente evitato gli aspetti meramente accademici ed “alti” e si è rivolta principalmente a chi ha saputo innovare all’interno di contesti e stili popular prevalentemente giovanili, e ha tracciato le coordinate di un’esplorazione che l’ha portato a spaziare in ambiti di autentica eccellenza dei nostri artisti che spaziano dall’industrial al death metal, da una contro-new wave che prescindendo dai soliti noti e muovendosi su binari d’ispirazione Tuxedomoon lungo l’asse Bologna-Firenze, ricchissima di fermenti controculturali nei dinamici 80s, approdò verso sonorità più disturbanti e corrosive, alla cosiddetta attualissima Italian occult psychedelia (il tag è di Julian Cope, attento conoscitore delle realtà alternative più vivaci).



Tanti i temi trattati ed i nomi citati dallo scrittore toscano: si è parlato della primogenitura dell’ascendenza velvetiana ne Le Stelle di Mario Schifano, della via mediterranea alla Third Ear Band del progetto Aktuala, e ancora della risonanza internazionale dei nostri compositori elettroacustici e degli inevitabili limiti imposti dalla globalizzazione nella strenua lotta per affrancarsi dal giogo culturale anglocentrico e dalla vacua pervasività dell’ebete brusio della muzak imperante.
Molto interessante anche la sua analisi sull’insospettato successo, in termini numerici e di influenza seminale, di alcuni tesori discografici che hanno visto recentemente la luce dopo anni di assenza di ristampe, in alcuni casi propriamente di stampe, reperibili. Fenomeno che smentirebbe l’alone da cospirazione carbonara spesso associato a questi lidi sonori.
In particolare si è soffermato sulle meritorie riedizioni di Lino Capra Vaccina, Luciano Cilio ed Ensemble Dissonanzen, tutte a cura della milanese Die Schachtel.


Una piacevolissima conversazione dunque, stimolata dalle acute domande ed osservazioni di Fabrizio Tavernelli, già animatore del Consorzio Produttori Indipendenti, che ha svolto il ruolo di moderatore per poi impreziosire l’after hours con una performance electronica che ha visto anche la partecipazione di Enrico Marani.


Concludendo, una serata da cui ogni presente è uscito quantomeno incuriosito se non assolutamente conscio dell’imprescindibilità dei due volumi dedicati ai solchi sperimentali, realmente due passe-partout per scardinare luoghi comuni ed ovvietà discografiche, due lussuose scialuppe per navigare oltre le colonne d’Ercole dei dettami codificati dalle major e dei più ovvi canoni indie, che non potranno mancare nella libreria di chi vorrà non solo riscoprire aspetti meno conosciuti di antichi monumenti vinilici, ma anche spingersi oltre il mainstream ed il conosciuto avventurandosi nel mare magnum dell’odierna offerta multimediale con un infallibile sestante.




Come recitava lo slogan dell’ineffabile The Wire: Adventures in Modern Music!



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