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venerdì 16 ottobre 2015

Accadde alle Olimpiadi Messicane del '68, di Wazza


"Puoi odiare un uomo per molti motivi, non per il colore della pelle"
(Pee Wee Reese)


Avevo 13 anni il 16 ottobre 1968, erano in corso le "Olimpiadi del Messico", eventi che all'epoca erano molto sentiti e seguiti.
Sono sempre stato un amante e praticante (da mezza-sega) del calcio, ma le olimpiadi non si poteva evitare di vederle, soprattutto le gare di atletica, tipo 100 o 200 metri piani.
Sicuramente l'avrò visto in differita  ed in bianco e nero, il giorno dopo, per via del fuso orario, ma l'immagine che vedete allegata, con Tommie Smith e John Carlos, che alzano il pugno, i guanti neri (simbolo del Black Power), i piedi scalzi (segno di povertà) sul podio della premiazione dei 200 metri, rimasero impressi nella mia memoria e condizionarono la mia crescita, ed il mio pensiero politico. 
Quei pugni alzati in cielo aprivano un mondo, per me adolescente, sconosciuto: il razzismo contro gli afro-americani, le intolleranze razziali. Incominciai ad interessarmi a Martin Luther King e Angela Davis. Questa immagine divenne una delle più famose "icone" del novecento. John Carlos portava anche una collanina di piccole pietre al collo, ogni pietra rappresentava un nero che si batteva per i diritti, e che venne ucciso.
Oggi che più di sinistra mi sento un "sinistrato", dato che gli ideali di socialismo/comunismo sono stati messi da parte dall'egoismo, dall'arroganza, dal denaro facile. Oggi che la "tolleranza" è tornata prepotentemente di moda, guardo ancora con commozione e tristezza a  questa  foto, pensando a come questi due ragazzi abbiano bruciato la loro carriera e la loro vita per degli ideali!
Che serva da esempio per tanti "decelebrati" campioni dello sport, dotati di talento, ma non di anima...
Giù il capello per Tommie Smith e John Carlos
WK


 Scriveva Gianni Mura…

Bisogna sforzarsi di non guardare i due a testa bassa, il pugno chiuso alzato in un guanto nero, calze nere e niente scarpe, sul podio. Bisogna concentrarsi sull’atleta di sinistra, bianco, lo sguardo dritto, le braccia lungo i fianchi. Bisogna ricordare alcune cose, di quel 1968 perennemente associato al Maggio francese. Il 16 marzo il massacro di My Lai, il 4 aprile l’assassinio di Martin L. King, il 5 giugno tocca a Bob Kennedy. Aggiungiamoci il Biafra, i carri armati sovietici sulla primavera di Praga, la strage di piazza delle Tre Culture poco prima che cominci lOlimpiade messicana. Bisogna sapere che la finale dei 200 metri la vince Tommie Smith in 1983 (primo a scendere sotto i 20) davanti a Norman (2006) e Carlos (2010). Carlos parte forte, troppo forte. Smith lo passa a 30 metri dalla linea e corre gli ultimi 10 a braccia alzate. Norman ai 100 metri è solo sesto, viene fuori nel finale, supera Carlos negli ultimi metri. Bisogna sapere che nel 67 Harry Edwards, sociologo a Berkeley, voce baritonale, discreto discobolo, ha fondato lOphr, Olympic Program for Human Rights. L’idea è che gli atleti neri boicottino i Giochi, ma è difficile da realizzare. Chi aderisce porta il distintivo, una sorta di coccarda, ed è libero di manifestare la sua protesta come crede. Smith e Carlos, accolti alla San José perché bravi atleti, a loro volta studenti di Sociologia, portano il distintivo e vogliono manifestare. Bisogna anche avere unidea sull’età dei tre sul podio. Tutti nati nel mese di giugno. Smith nel Texas, settimo di undici figli. Ha 24 anni. Suo padre raccoglie cotone. Norman è il più anziano, ha 26 anni, suo padre è macellaio, famiglia molto credente e vicina all’ Esercito della salvezza. Carlos ha 23 anni, è figlio di un calzolaio, nato e cresciuto ad Harlem.
Appena giù dal podio la loro carriera sarà finita, bruciata, e la vita un inferno. Ma loro non lo sanno e, se lo sanno, non gliene importa.
Nel sottopassaggio che va dagli spogliatoi al podio Norman assiste ai preparativi dei due americani. Tutto è fortemente simbolico, dalla mancanza di scarpe (indica la povertà) alla collanina di piccole pietre che Carlos mette al collo (ogni pietra è un nero che si batteva per i diritti ed è stato linciato).
Smith e Carlos spiegano. E Norman dice: «Datemi uno dei distintivi, sono solidale con voi. Si nasce tutti uguali e con gli stessi diritti». Così anche Norman sistema la coccarda sulla sinistra della tuta. C’è un problema, Carlos ha dimenticato i suoi guanti neri al villaggio, mentre Smith ha con sé quelli comprati da Denise, sua moglie. «Mettetevene uno tu e l’altro tu», consiglia Norman. Così fanno. Smith alza il pugno destro e Carlos il sinistro.
Gianni Mura

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