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mercoledì 15 gennaio 2014

Nicola Pisu - Abacrasta e dintorni, di Gianni Sapia


Ci sono cose che vanno al di là del fenomeno del momento, cose nascoste da un’evidenza ormai dimenticata, cose semplici, umane, emozioni anacronistiche che sempre più spesso ci vergogniamo di esternare. Cose che dovremmo mostrare con fierezza, come le rughe che il tempo scava sui volti di chi la vita l’ha voluta vivere senza maschere, rughe profonde scavate dalle emozioni di una vita altrettanto profonda, niente a che vedere con le facce lisce e acriliche di chi ha vissuto una vita di plastica. Rughe che sono storie da raccontare, sensazioni da condividere, emozioni che scaturiscono dalla consapevolezza di essere parte dell’umanità e dal senso di appartenenza alla terra. Ci sono cose che sono semplicemente umane, ma che sono state dimenticate dall’umanità. E poi ci sono poeti, scrittori, registi e attori, pittori e cantanti, che queste cose ci aiutano a ricordarle, per chi vuole ascoltare. Uno dei talenti di un artista è avere il coraggio, oltre che l’abilità, di manifestare le emozioni che il vivere accende, libero dalla condanna del giudizio altrui, con l’anima nuda, come un essere umano, semplicemente. Cantare di amori e passioni, proprio come fa Nicola Pisu nel suo Abacrasta e dintorni, liberamente tratto dalle opere La leggenda di Redenta Tiria e Il viaggio degli inganni dello scrittore sardo Salvatore Niffoi. 


È il tempo che scorre attraverso le storie dei personaggi dei paesini immaginari di Abacrasta e Oropische che Nicola Pisu dipinge con pennellate a volte precise a volte sfumate, appena accennate, pennellate fatte di un silenzio che parla. È la Sardegna degli altipiani che l’artista racconta, lontana da quella dei Briatore, resa viva dalle campane dei greggi, dallo sbuffare degli animali, dalle speranze degli uomini e dalle loro illusioni, lontana dal mercimonio delle vanità. Abacrasta è il primo quadro da ascoltare, un paese rallentato dai gesti quotidiani, immerso in un fatalismo non privo di speranza e uno dei personaggi che lo animano è Il Servo Pastore, che capisce più le bestie degli umani e che si sente vero sotto il sole che gli imbrunisce la pelle. Il brano che segue, Tanche Brulle I, è un intermezzo musicale dal gusto di presepe. La storia di Tzellina, musicata magistralmente, non può non riportare alla memoria la figura di De Andrè, visibile e respirabile, per altro, in tutto l’album. Tzellina che evoca amore, che cerca redenzione, Tzellina che è anche un po’ rock. “Gli sguardi colmi di mare” de Le Donne di Oropische, “donne che hanno la fortuna di essere donne”, ci accompagnano oltre i limitati orizzonti dettati dalla vista e il sogno si impone sulla realtà. Il gusto di presepe appena assaggiato in Tanche Brulle I, diventa una storia fatta di realtà, descritte da visioni oniriche in Tanche Brulle II, dove l’artista sardo rende omaggio alla parola riuscendo a creare il reale dall’immaginifico. Serafina è bella, sicuramente lo è, come bella è Bocca di Rosa, come belle sono le storie di due donne che probabilmente sarebbero state buone amiche. Con Nineddu si torna alla calura tremolante delle terre dei pascoli e all’eterna fuga alla ricerca della libertà. Il racconto Della Notte, inizia dal soffio del respiro dell’alba e ci accompagna lungo l’incanto di una danza leggera, fatta di abiti bianchi e prati colorati di fiori di mille colori e che si trasforma in un volo emozionale. Gli occhi sono chiusi, anche se non sono coperti dalle palpebre. Con Tanche Brulle III la luna e le stelle si fanno spazio tra la luce del crepuscolo e cala la notte sul nostro presepe. Nicola Pisu è sardo, penso si fosse intuito, e come tutti gli isolani ha dentro di se un senso di appartenenza alla propria terra amplificato dalla cassa di risonanza che il mare intorno crea. Avere come unico orizzonte cielo e mare che si confondono, probabilmente crea un legame ancor più forte con la propria terra, forse perché quell’orizzonte la fa apparire come l’unica terra possibile, o forse no. Abacrasta e dintorni è comunque un opera in cui questo legame si sente, si sente eccome e Nicola Pisu riesce a disegnarne i tratti articolando frasi rese inaspettate e sorprendenti dall’incantevole uso che fa della parola. Sarebbe stato sicuramente uno dei primi della classe nella scuola del professor Faber.

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